venerdì 18 dicembre 2015

Cos'è il Blockchain (Block Chain)


Il Block Chain (letteralmente Catena di Blocchi) è un registro pubblico e condiviso che contiene tutte le transazioni effettuate in Bitcoin
Visto come un nuovo importante protocollo di trasmissione e memorizzazione dei dati, essendo continuamente ricondiviso da tutti i client partecipanti alla rete bitcoin rappresenta la prova di tutte le transazioni, il blockchain è in costante crescita in quanto vengono sempre aggiunti nuovi Blocks per registrare le movimentazioni. 

Un Block (Blocco) è l'anello della catena, quando viene completato con l'inserimento delle informazioni relative alle transazioni recenti, viene chiuso e non è più modificabile. 
Successivamente viene quindi generato e collegato alla catena un nuovo blocco, contenente un identificativo del blocco precedente, alimentando così una banca dati lineare con tutte le operazioni in ordine cronologico.



Per fare un'analogia con i processi bancari tradizionali, il blockchain è come una storia completa delle operazioni bancarie: le transazioni in bitcoin sono gestite cronologicamente come le transazioni bancarie. Mentre i Blocchi possono essere assimilati ad estratti conto di operazioni fatte in determinati spazi temporali.

Vengono chiamati Nodes (Nodi), tutti i computer che partecipano alla rete Bitcoin e che svolgono il compito di convalidare e di ricondividere il blockchain.
Ciascun Nodo utilizza un programma client che riceve automaticamente una copia integrale del blockchain con le informazioni di tutte le movimentazioni contenute, a partire dal primo blocco (Genesis Block) fino a quello completato più di recente.

Questa continua condivisione su tutti i client in rete, di fatto valida tutte le transazioni e ne diventa il database storico distribuito.

Considerando che in media viene creato un nuovo blocco ogni 10 minuti, la dimensione sempre crescente del blockchain è una delle criticità che dovranno essere gestite in futuro, potrebbero infatti nascere problemi di spazio per la memorizzazione e sincronizzazione.


lunedì 7 dicembre 2015

8 suggerimenti per organizzare riunioni produttive


Le riunioni sono una delle principali cause di perdita di tempo nelle attività aziendali.
Non tutte chiaramente, ma buona parte di esse sono mal impostate e quindi non produttive.
Uno studio americano ha stimato che, prendendo in considerazione il totale del tempo in cui le persone vengono coinvolte nelle riunioni,  il 50% sia inutile.

Da riunioni non efficaci perché organizzate male, inevitabilmente ne conseguono altre riunioni destinate a fare la stessa fine.
Tutto ciò per una azienda ha un costo diretto sulla produttività ed indiretto sugli aspetti economici (tempo sprecato = perdita di denaro).

Image courtesy of D.Castillo Dominici at FreeDigitalPhotos.net

Di seguito alcune direttive per impostare le riunioni in modo migliore. 

  1. Organizzare la riunione. Una riunione possibilmente va organizzata in modo non affrettato affinché si possano indirizzare bene i punti successivi. Convocarla senza avere le idee chiare può essere controproduttivo.
  2. Ridurre al minimo il numero di partecipanti. Non c'è bisogno di invitare tutte le persone interessate (stakeholders), ma solo coloro realmente necessari per indirizzare la decisione finale. Il pensiero degli altri può essere raccolto preventivamente via email o telefono.
  3. Comunicare gli obiettivi in modo chiaro. Fornire ai partecipanti, contestualmente alla convocazione alla riunione, una breve descrizione di quali sono gli obiettivi e cosa ci si aspetta da loro singolarmente, in modo che arrivino preparati.
  4. Fornire una agenda dettagliata. Se la riunione ha più argomenti di discussione è importante fornire preventivamente un ordine del giorno con i relativi orari. Questo permetterà alle persone di venire solo per la parte della riunione che è rilevante per loro. 
  5. Governare la discussione. E' fondamentale che ci sia una persona che coordini e governi con autorevolezza il dibattito, in modo da far focalizzare sempre i partecipanti sugli aspetti importanti e non perdere mai di vista gli obiettivi ed i tempi della riunione stessa.
  6. Definire le prossime azioni. Non terminare la riunione senza decidere quali saranno i prossimi passi da fare. E' fondamentale stabilire le azioni concrete da intraprendere e verificare che tutti i partecipanti le abbiano recepite.
  7. Rispettare gli orari previsti. Iniziare all'orario stabilito anche se qualcuno non è ancora arrivato. Segnalare a tutti quando il tempo sta per finire in modo da far pressione sulle persone per finalizzare le decisioni e definire i prossimi passi. 
  8. Limitare la lunghezza. Se una riunione è stata ben preparata è inutile farla troppo lunga dato che la gente si stanca, si distrae e c'è il rischio di prendere decisioni sbagliate. Piuttosto che farla durare troppo a lungo, se necessario è meglio pianificare un secondo incontro. 

mercoledì 7 ottobre 2015

E-Waste, la "monnezza" elettronica

E-WASTE è la deriva tossica che la nostra era digitale si porta dietro.
I rifiuti elettronici inquinano fortemente l'ambiente, l'acqua potabile e danneggiano gli ecosistemi di tutto il mondo. 
La maggior parte finisce nelle discariche, in quelle sul nostro territorio ma soprattutto in quelle dei paesi in via di sviluppo, principalmente Africa e Asia, in cui aziende di smaltimento senza scrupoli troppo spesso fanno confluire gli scarti.
Anche quando si tenta di riciclare, una notevole quantità di materiale elettronico non può essere recuperato ed i metalli tossici di tutto il mondo vengono trasportati, ammassati e poi abbandonati.


Volumi impressionanti

I volumi sono enormi, immaginate che mediamente ciascuno di noi cambia un telefono cellulare ogni 18 mesi, un PC ed un Tablet ogni 4 anni. 
Quantitativi anche superiori arrivano dalle aziende che si liberano ciclicamente di materiale obsoleto: monitor, stampanti, tastiere, elaboratori, router, cabinet, ecc.
Considerando anche gli elettrodomestici, la montagna di monnezza elettronica cresce a dismisura raggiungendo vette impressionanti.  



E' stato stimato che solo in Europa e negli Stati Uniti vengono buttati ogni anno circa 700 milioni di prodotti tecnologici, in gran parte considerati obsoleti ma ancora funzionanti, accumulando oltre 5 milioni di tonnellate di materiale.  
Sono rimaste fuori da queste stime paesi come Cina, Giappone, Corea e India che sicuramente producono altrettanti scarti.


Il riciclaggio è difficile e gestito male

Questo tipo di prodotto non è facile da riciclare, non è infatti progettato e realizzato con materiali che agevolano un riutilizzo futuro. 
Il ciclo procedurale del riciclo non è consolidato come quello della carta, ma va implementato a seconda della tipologia di oggetto.
Oltretutto farlo in modo sicuro e corretto spesso costa molti più soldi che produrre materiali nuovi. 

Solo il 25% di e-waste viene raccolto per il riciclaggio. L'altro 75% finisce direttamente in discariche ed inceneritori, nonostante sia reale il pericolo di fuoriuscita di sostanze chimiche e quello di combustione con emissione di diossina nociva. 

Per quanto riguarda il 25% che si tenta di riciclare, gran parte viene imbarcato su navi cargo e spedito in paesi lontani per lo smantellamento che avviene in condizioni terribili, avvelenando le persone che ci lavorano inconsce del pericolo e quindi senza alcun tipo di precauzione.


Contromisure

Il consumo globale di elettronica è in forte aumento. Ogni anno generiamo più rifiuti elettronici rispetto al precedente. Creiamo troppi rifiuti elettronici e li ricicliamo troppo poco. 
Le contromisure per limitare sprechi e danni non sono molte e purtroppo si scontrano con le logiche di mercato e di una evoluzione tecnologica che va molto più forte del resto del mondo.

Adozione di standard di prodotto: quando i produttori, come avvenuto in diversi casi, convergono su delle soluzioni tecnologiche condivise, i consumatori sono indotti a buttare di meno. 
Esempio: l'adozione da parte di tutti (o quasi) degli standard USB e Bluetooth, ha fatto si che gli accessori possano essere riutilizzati in modo indipendente e quindi non buttati. 

Progettazione di prodotti modulari con componenti disassemblabili: non più "scatole chiuse" e inaccessibili, è necessario rendere semplice lo smontaggio facilitando la riparazione e l'eventuale separazione dei materiali da riciclo. Questo aspetto va regolamentato in modo da obbligare i produttori a farlo.

Forte regolamentazione delle attività di smaltimento: le imprese che se ne occupano devono rispettare le normative nella gestione nelle diverse fasi:
  • messa in sicurezza o bonifica, 
  • asportazione dei componenti pericolosi,
  • smontaggio e separazioni dei moduli,
  • lavorazione meccanica per il recupero dei componenti,
  • smaltimento dei materiali non riciclabili.

Raccolta differenziata: i cittadini devono conferire i propri rifiuti alle isole ecologiche.

venerdì 11 settembre 2015

Cos'è il NewsML

Il NewsML (News Markup Language) è un formato dati progettato per la memorizzazione e la trasmissione delle notizie digitali.
Utilizzato dai più importanti media, giornali, TV, agenzie di stampa, ecc., è uno standard riconosciuto e sviluppato dal consorzio internazionale IPTC  (International Press Telecommunications Council).

La necessità di avere un Common Data Model di riferimento, è derivato dalla continua crescita della produzione e dello scambio di notizie in formati eterogenei (testo o multimedia) dovuto alla rapida espansione di Internet e delle comunicazioni veloci world wide.

Il formato NewsML può essere applicato a tutte le fasi del ciclo di vita delle notizie digitali.  Un uso tipico lo prevede nelle comunicazioni:


  • interne ad un sistema editoriale
  • verso altri sistemi editoriali
  • tra agenzie di stampa e loro clienti 
  • tra editori ed aggregatori di notizie 
  • tra i fornitori di servizi di stampa e gli utenti finali. 

Basato sul linguaggio XML (eXtensible Markup Language) , il NewsML ha l'obiettivo di fornire struttura dati generica in grado di rappresentare tutte le tipologie di notizie (testi, foto, video, audio, multimedia, rss, links, composte), in modo da abilitarne lo scambio, l'interpretazione e l'elaborazione in modalità standard da parte dei sistemi editoriali.

A tale scopo è disponibile il NewsML Toolkit, una libreria Java-based che può essere integrata all'interno delle applicazioni per facilitare la gestione delle News espresse in tale formato.

Sono state prodotte 2 main release del NewsML, aggiornate poi con versioni successive:
  • NewsML 1.* - la cui versione 1.0 è stata presentata nel 2000;
  • NewsML-G2 - standard di nuova generazione la cui prima versione è del 2008.

Ciascuna versione prevede un documento descrittivo (metadati in formato DTD e/o XSD) che definisce la struttura del file NewsML e gli attributi possibili delle informazioni che può contenere.  


Image courtesy of Stuart Miles at FreeDigitalPhotos.net



Articoli Correlati

venerdì 7 agosto 2015

Windows 10, buona la prima

Finalmente sul mio tablet, un HP Omni 10, è arrivato l'aggiornamento a Windows 10.
Partendo dalla versione 8.1, dopo circa 3 ore tra download (2.7 gb) ed installazione, filata liscia come l'olio, ho potuto fare un primo giro sul nuovo sistema operativo di Microsoft.

Il desktop di Windows 10 con lo sfondo di default
La primissima impressione è stata senz'altro positiva, intanto perché, cosa non scontata, ho ritrovato i dati, le impostazioni e le applicazioni che avevo lasciato sulla vecchia versione, poi per l'usabilità ed il design grafico di desktop e menu che finalmente hanno un logica sia in versione Tablet che PC.

Andiamo con ordine, descrivendo le sensazioni di un primo veloce giro su Windows 10 ed evidenziando le caratteristiche di usabilità e le differenze più evidenti con la versione 8.1.

Accesso a Windows 10

La schermata di Welcome, per intenderci quella prima del Login in cui l'utente inserisce username e password per accedere al sistema, presenta come sfondo delle foto ad alta risoluzione.
Le foto raffigurano dei panorami naturali e di per se sono molto belle anche se personalmente ho sempre preferito avere sfondi più professionali.
Un po' strana risulta essere la scritta che compare in alto e chiede all'utente di esprimere un parere sulla foto stessa.

La schermata di Welcome al sistema

Desktop

Molto bella tutta la grafica generale, le icone e lo sfondo di default.
Rispetto alla versione 8.1, si nota subito l'annunciato e gradito ritorno del menù di Start in basso a sinistra, molto ben fatto con un mix tra la lista dei programmi ed i quadratoni tipici dell'interfaccia metro di Windows.
Sul menù ad icone posizionato in basso a destra sulla barra delle applicazioni, si accede ad una nuova (per Windows) comodissima pulsantiera che centralizza e facilita l'accesso alle funzionalità di base per l'impostazione del Tablet/PC (bluetooth, wifi, modalità aereo, vpn, batteria, ecc.).

Il desktop con il nuovo menù di Start e quello applicativo/operativo

Da segnalare nella barra delle applicazioni l'icona che consente finalmente anche su Windows di accedere alla creazione di Desktop multipli (non è mai troppo tardi per introdurre una cosa buona).

Possibilità di creare desktop multipli

Modalità Tablet

Uno dei suddetti pulsanti virtuali serve ad effettuare lo switch dalla modalità PC a quella Tablet. 
Stavolta devo dire che Microsoft ha fatto una ottima scelta. Dimentichiamo la macchinosità che aveva Windows 8 per passare dal Desktop alla interfaccia Metro, ora la transizione da una modalità all'altra avviene per scelta dell'utente in modo semplice e veloce.


Quando si imposta la modalità Tablet, contrariamente a quanto avveniva nelle precedenti versioni in cui l'utente si trovava spaesato nel passaggio, nonostante il cambio di interfaccia più adatto alla digitazione Touch viene mantenuta una congruenza operativa ed è comunque sempre possibile accedere al menù di Start ed alla barra delle applicazioni. 



Da evidenziare quanto sia migliorata grazie ai nuovi menù l'usabilità con il Touch anche in modalità Desktop. La facilità con cui si accede alle App oltre che ai programmi, non fa sentire quasi più l'esigenza di passare alla modalità Tablet.

Ricerca e Cortana

Di default sulla barra delle applicazioni è presente un campo (negli screenshot non c'è) in cui è possibile impostare ricerche oppure farsi aiutare dall'assistente Cortana con comandi vocali.  Non l'ho ancora provata ma suppongo che data la posizione centrale che Microsoft ha riservato a questa funzionalità, punteranno molto a lanciare servizi automatici sempre più evoluti di supporto alle operatività degli utenti.

Conclusioni

A livello di usabilità sembra che Microsoft stavolta abbia fatta centro. 
La tanto pubblicizzata convergenza multidevice del sistema operativo Windows sembra ben indirizzata almeno per quanto riguarda PC e Tablet.  Staremo a vedere quale sarà il risultato sugli Smartphone più piccoli.



giovedì 6 agosto 2015

Portarsi la Musica all'aperto

Ormai serve veramente poco per "pompare" la musica in giro: basta uno Smartphone, una cassa Bluetooth ed il gioco è fatto.

Negli anni 80 bisognava fornirsi di uno stereo portatile, anche conosciuto come Bambinello o Jamaicano, con le batterie (torce o mezze torce) sempre nuove altrimenti la musica sarebbe durata troppo poco e con una scorta di musicassette da ascoltare in alternativa alla radio FM.
Oppure per ascoltare la musica all'aperto era necessario restare vicino all'auto con il portabagagli ed i finestrini aperti e lo stereo "a palla".
Per l'ascolto personale invece c'era il Walkman con le famose cuffiette di spugna, che però al massimo poteva essere utilizzato in due persone. 

Successivamente sono arrivati i CD, i DVD e le chiavette USB, gli Ipod e gli altri lettori mp3 che hanno facilitato il trasporto della musica, ma per sentirla forte e con buona qualità soprattutto all'aperto bisognava comunque connettersi ad un impianto stereo ingombrante e scomodo da trasportare considerando anche tutta la cavetteria necessaria.

Ora invece è tutto più semplice, possiamo caricare nel nostro telefonino decine di gigabyte di musica, corrispondenti a migliaia di canzoni, addirittura abbonarci ad un provider di musica in streaming, tipo Spotify, Google Play Music, SoundCloud, ITunes, ecc., poi basta accoppiare il dispositivo via bluetooth con una cassa amplificata ed è subito FESTA !!!  

Ovunque ci si trovi, in spiaggia, al parco o in qualsiasi altro ambiente possiamo pompare la musica in Wireless e vedrete che ci sarà sempre qualcuno che a seconda della canzone vi dirà "Bella questa , ALZAAA !!" oppure "per favore potresti abbassare un po' ?".

Speaker bluetooth

Di speaker bluetooth chiaramente ne esistono di tutti i tipi, di diversa dimensione, potenza, qualità e costo.
Tutte sono auto-amplificate, portatili e ricaricabili (come un telefonino), alcune sono anche resistenti all'acqua e agli urti per facilitarne l'utilizzo outdoor.
Le producono un po' tutte le aziende più conosciute di tecnologia HiFi (Bose, Harman Kardon, SamsungSony, Philips, JBL, Beats, ecc.) ma ci sono sul mercato anche di marchi più tipicamente informatici (Trust, Logitech, Belkin, ecc. ).  
Comprando prodotti di questo tipo si va sul sicuro, la resa acustica è spesso sorprendente, meglio di quanto ci si aspetti. Alcune di queste casse possono anche essere utilizzate in cluster (connettendo più casse tra di loro) per aumentare la potenza dell'impatto sonoro e la diffusione della musica.


Receiver bluetooth

E se si volesse utilizzare lo smartphone anche come sorgente per l'invio della musica verso lo stereo di casa o di un locale ?  
Basta acquistare un receiver bluetooth (facilmente reperibili su Amazon o Ebay), connetterlo alla presa AUX dell'impianto stereo e poi effettuare l'accoppiamento via Bluetooth con il telefonino.



No cineserìe

Nell'acquisto di uno speaker o di un receiver è sempre meglio evitare le "cineserìe", costano poco ma la carica della batteria dura niente, il bluetooth è di scarsa qualità, la ricezione diventa pessima quando ci si allontana un po' con lo smartphone e soprattutto l'acustica è sempre insufficiente. 
Meglio spendere qualche decina di euro in più.

APP

Di APP per ascoltare musica ne esistono a decine sia per gli smartphone/tablet IOS che per Android.
Tra le più conosciute ci sono MusixMatch, Winamp, Poweramp, Spotify, Double Twist Player, Shuttle, Google Play Music, Deezer e Muziic.



Se si volessero anche mixare i brani, sono disponibili sull' Apple Store e su Google Play anche delle ottime APP da DJ tra le quali segnaliamo DJay 2, Cross DJ, Edjing, Traktor e DJ Studio.




Buona musica a tutti !!


lunedì 13 luglio 2015

Il pudore di essere Social

Come per giustificare un qualcosa di sbagliato e culturalmente non nobile, un buon numero di persone, tipicamente dall'atteggiamento alternativo radical chic o duro e tormentato, tende a minimizzare agli occhi degli altri l'uso che fa dei Social.

Le tipiche frasi di chi ha pudore nel frequentare i Social Network sono:
"per caso sono entrato su Facebook e...",  "non ci entro quasi mai su Twitter ma ho letto....", "ieri casualmente ho visto una foto su Instagram...", "un mio amico mi ha fatto vedere dal suo smartphone...", "non mi collegavo da mesi e...",  

La cosa strana è che spesso a farlo sono proprio i social addicted e nomofobi, un po' come i drogati che dicono "smetto quando voglio".

Avviene una cosa simile anche per altri argomenti: spesso per il calcio ("casualmente ho sentito il risultato..."), per le trasmissioni TV ("facendo zapping per caso mi fermato a vedere Amici..."), per alcuni tipi di libri ("in spiaggia mi hanno prestato l'ultimo di Fabio Volo") o per i film poco impegnati ("mi hanno portato a vedere il cine-panettone").

Certamente sono molti coloro che entrano a curiosare senza postare mai nulla o con profili Fake per non dare evidenza di essersi abbassati a livello di un Social diffuso e popolare.

A queste persone bisogna dire: rilassatevi, non vi si fila nessuno.

Image courtesy of jesadaphorn / FreeDigitalPhotos.net

Articoli correlati



lunedì 15 giugno 2015

Il WiFi Free, il Sospetto ed il Furbetto

La legge di conversione N. 98/2013 del decreto "Fare" N. 69/2013, pubblicata sul Supplemento Ordinario n. 63 alla G.U. n. 194 del 20/08/2013, definisce la normativa italiana che regola la fornitura di accesso ad Internet pubblico tramite wifi da parte degli esercizi commerciali e dei circoli privati.

L'articolo 10 è quello che sintetizza un po' tutta la regolamentazione:

Art. 10 (Liberalizzazione dell'accesso alla rete internet tramite tecnologia WIFI e dell'allacciamento dei terminali di comunicazione alle interfacce della rete pubblica) 
L'offerta di accesso alla rete internet al pubblico tramite tecnologia WIFI non richiede l'identificazione personale degli utilizzatori. Quando l'offerta di accesso non costituisce l'attività commerciale prevalente del gestore del servizio, non trovano applicazione l'articolo 25 del codice delle comunicazioni elettroniche, di cui al decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259, e successive modificazioni, e l'articolo 7 del decreto-legge 27 luglio 2005, n. 144, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 luglio 2005, n. 155, e successive modificazioni.

In altre parole, il legislatore ha abrogato i vecchi vincoli consentendo agli esercizi commerciali, che non lo fanno come attività principale, di fornire al pubblico l'accesso ad Internet
  • senza bisogno di una licenza particolare,
  • senza il dovere di richiedere l'identificazione agli utilizzatori del servizio.
Purtroppo, nella realtà questa normativa non ha sortito alcune effetto, le reti WiFi nei locali pubblici del nostro paese sono sempre più chiuse.
Qualche esercente ci ha provato, per poi nella maggior parte dei casi tornare sui propri passi e rimettere la rete sotto autenticazione o addirittura toglierla dall'utilizzo dei clienti.

Negli Stati Uniti, ma anche in Francia, Brasile, Argentina, Germania, Olanda e tanti altri paesi anche esercizi commerciali "insospettabili" offrono questo servizio ai propri clienti. 
Non solo circoli, ristoranti, caffè, bar e pub come ci si aspetterebbe, ma anche negozi di abbigliamento, scarpe, sport, palestre, supermercati, centri commerciali hanno la propria rete Guest aperta per la connessione libera ad Internet.

Qui da noi no, quando si cerca una WiFi con lo smartphone di solito si visualizza la lista delle reti, tra l'altro molto corta, dove in corrispondenza di ciascuna di esse compare sempre il relativo lucchettino.

Come mai accade questo ?  Perché in gran parte del mondo è consuetudine che i negozi offrano questo servizio ai propri clienti mentre in Italia è una rarità ?

I fattori che incidono sono tanti tra i quali il fatto che in Italia il traffico dati su rete 3G/4G è molto più diffuso che in altri paesi, quindi la necessità degli utenti di avere una connessione WiFi è minore.

Tuttavia alla base della poca apertura da parte degli esercenti c'è la paura di essere fregati, di avere poco controllo su quello che succede.
C'è il sospetto che qualcuno usi indebitamente la rete per scopi illeciti con l'implicazione che ciò possa innescare dei controlli da parte delle forze dell'ordine con conseguente richiesta dei log relativi alle connessioni.
Il sospetto che qualcuno approfitti del servizio per scaricare da siti pirata, per effettuare download pesanti rallentando il servizio agli altri.
Il sospetto che si crei una clientela finta, più interessata al collegamento ad Internet che ai servizi/prodotti dell'attività commerciale.

Più che una paura però è una certezza, da noi abbondano i furbetti: gente che naviga su Internet appoggiata fuori alle vetrine dei negozi che offrono WiFi Free per non sprecare proprio il bundle dati, persone che rimangono sedute in macchina parcheggiate nelle vicinanze con il PC per scaricare gli aggiornamenti di sistema o che, quando va bene, si prendono un caffè ed occupano un tavolo per ore.

Per questi motivi la normativa non è sufficiente a sbloccare la situazione, ma dovrà essere molto più incisiva.
Offrire un servizio WiFi deve diventare per legge molto conveniente, in modo che la maggioranza degli esercizi commerciali lo facciano.
La possibilità di connettersi si deve diffondere e diventare una consuetudine, mitigando di fatto le problematiche descritte sopra.
Parallelamente è necessaria un'altra normativa che inviti i provider a fornire agli esercenti degli strumenti più semplici per poter configurare e controllare l'utilizzo della propria WiFi.




martedì 9 giugno 2015

L'inutilità degli Alert sull'utilizzo dei Cookie

A partire dal 3 Giugno 2015, a distanza di un anno dal provvedimento pubblicato dal Garante delle Privacy nel Giugno 2014, tutti i possessori di siti Internet sono obbligati ad adeguare i propri portali alla normativa in vigore, aggiornando le pagine web con la corretta informazione all'utente e accogliendo la sua preventiva autorizzazione all'utilizzo dei cookie.

La tipologia di informazioni da fornire all'utente sul sito ed il tipo di consenso da ricevere sono differenti a seconda di come vengono utilizzati i cookie, se servono solo per conteggiare gli accessi e fare statistiche o anche per profilare gli utenti ed associarli ad altre informazioni utili a scopi di business.

Un portale non aggiornato può incorrere facilmente in una sommatoria di sanzioni molto elevate, tutte a carico dell'intestatario del sito.

Le leggi vanno rispettate, tuttavia agli occhi di una utenza esperta, dopo aver verificato nella realtà come è applicata ed il comportamento degli utenti che ne consegue, la normativa sembra abbastanza iniqua e soprattutto inutile. 
Vediamo perchè:
  1. Il 90% delle persone non sa cosa sono i cookie e neanche dopo aver letto l'informativa capisce bene, sempre presupponendo che qualcuno la legga, ma non lo fa nessuno. Quindi ricevere il consenso con un click è come far firmare un documento a qualcuno incapace di intendere e di volere. 
  2. Nella realtà dei fatti, nessuno ma proprio nessuno dopo aver letto l'alert rinuncia alla navigazione di un sito che gli interessa, quindi averlo avvertito è inutile. Rinunciare alla navigazione vorrebbe dire chiudere il browser e tornare al pre-internet.  Quindi la normativa non tutela gli utenti, anzi fa il contrario: li obbliga ad approvare un qualcosa fuori dal loro controllo. 
  3. Sono 20 anni che si usano i cookie e le sessioni per la profilazione degli utenti su internet. Ora per difendere la privacy, invece di intervenire con chi ne fa un uso sbagliato, si pensa di risolvere con questo "bannerino" che compare ovunque. La sensazione è quella di un garante che, sentendosi impotente nel perseguire chi sfrutta indebitamente i dati delle persone, l'unica cosa che riesce a fare è quella di avvertire del pericolo;  è come quando invece di riparare una strada dissestata ci mettono un cartello posticcio per stare con l'anima in pace e poi "chissenefrega" di chi ci cade col motorino tanto "era stato avvertito". 
  4. Il 99% dei siti e portali su Internet fa uso dei cookie, quindi chi si collega potrebbe essere informato una volta per tutte. Perchè non farlo all'apertura del browser ? Possibile che sia necessario intervenire su milioni di siti e rovinarne la grafica con gli alert informativi ?
  5. La sanzione per non aver rispettato la normativa, qualora applicata, va a colpire l'intestatario del dominio/sito. E' vero che l'ignoranza non è prevista dalla legge, ma è certo che la maggior parte delle persone/aziende intestatarie non conoscono questa normativa perché non preventivamente informati in modo adeguato.  C'è chi ha fatto sviluppare il proprio sito web tanti anni fa, non ha un webmaster e non ha più contatti con chi l'ha sviluppato.
  6. Apportare le modifiche per rientrare nella normativa non è così facile come potrebbe sembrare, quindi implica dei costi da sostenere,
  7. La maggior parte dei cookie funzionali al business sono quelli di "terze parti", cioè quelli che vengono innestati quando nei siti ci sono i links per la ricondivisione sui social network. E' difficile anche per gli sviluppatori controllare questo aspetto, quindi perché non si è rivolta l'attenzione direttamente verso le "terze parti" cioè verso i soliti colossi di internet ?
La normativa ha sicuramente uno scopo giusto e condivisibile, possibile che non si sia riusciti a trovare una soluzione migliore ?



mercoledì 22 aprile 2015

Vuoi controllare le tue attività negli ultimi anni su Google e Youtube ?

Da qualche settimana, in verità senza pubblicizzarla troppo, Google ha reso disponibile una nuova funzionalità nell'ambito della iniziative di "trasparenza" che sta portando avanti nei confronti degli utenti probabilmente su invito degli organi di controllo internazionali, 

Questo strumento consente di visualizzare, scaricare su file ed eventualmente eliminare tutto lo storico delle attività svolte su Google, Maps e Youtube.

Quindi è possibile, in un modo molto semplice, rivedere e gestire tutte le search fatte negli ultimi anni  (testi e immagini), i siti raggiunti tramite il motore di ricerca, i luoghi visitati su Maps ed i video ricercati e visti su Youtube.

Oltre alla liste puntuali delle attività svolte giorno per giorno, sono presenti conteggi e statistiche arricchite da grafici molto semplici da interpretare.

Tutto ciò fa sicuramente pensare a quanto potere gestisca Google, il potere dato dalle informazioni, dalla conoscenza dei profili di miliardi di persone e delle loro abitudini.
Tutte cose ben conosciute da tempo che si tirano dietro argomenti importanti, molto discussi e controversi come la privacy, ma che fanno riflettere ancora di più dopo aver verificato con quale dettaglio e puntualità cronologica vengano archiviate tutte le attività di chi naviga su internet non solo da Google ma anche da altri network come Facebook, Twitter, Amazon, Yahoo, Apple o Microsoft.

Ma veniamo al dunque, come si fa a visualizzare la propria storia su Google ?

Molto semplice:
  • Effettuare l'accesso con il proprio account Google (GMail)
  • Andare su https://myaccount.google.com/ oppure dalla pagina del motore di ricerca fare click sull'icona del proprio profilo Google e poi click su Account (vedi immagine sottostante)


  • Nella pagina Impostazioni Account, trovare la sezione Strumenti Account e click su Cronologia Account (vedi immagine sottostante)


  • Nella successiva pagina Cronologia Account sono presenti i links Gestisci Cronologia per accedere a diversi archivi storici:  Attività sul Motore di ricerca, Spostamenti su Maps, Attività di ricerca e visualizzazione video su Youtube.  Come potete vedere dalle immagini successive tutto è spiegato in modo molto chiaro.  





  • Le immagini sottostanti sono un esempio delle pagine con le cronologie delle attività. 

Le tue ricerche ed attività di navigazione
    Video guardati su Youtube

    • Sono disponibili anche funzionalità per:
      • Eliminare definitivamente le informazioni selezionate
      • Scaricare la lista delle attività (vedi immagine sottostante)


    • In caso di richiesta di Scarico, i dati verranno preparati in formato Json su Google Drive ed vi verrà inviata un'email su GMail appena saranno disponibili.

    lunedì 20 aprile 2015

    Il Social Software in ambito aziendale

    La chiave per la collaborazione è la comunicazione. Per ottenere le performance migliori in un qualsiasi lavoro di squadra bisogna mettere in grado le persone di comunicare tra loro nel più semplice modo possibile.


    Image courtesy of KROMKRATHOG at FreeDigitalPhotos.net
    Il Social Software è una categoria di applicazioni che fornisce funzioni per la collaborazione e la condivisione tra gli utenti. 

    Gli esempi di Social Software più noti sono:

    • Email
    • Forum 
    • Wiki 
    • Blogs
    • IM - Instant Messaging (es.: Skype, Messenger, Hangout, ecc.) 
    • Pagine, Gruppi e Community tematiche sui Social Network.

    Il Social Software in ambito aziendale

    Questi strumenti, in molti casi integrati tra loro in "ecosistemi" tipo Google, Microsoft, Yahoo e Facebook, rappresentano ormai un aspetto molto importante anche in ambito professionale ed aziendale oltre che privato. 

    Il Social Caring, il dialogo con la propria clientela tramite le pagine dei Social Network e dei Blogs, è ormai una pratica obbligatoria per le aziende medio grandi.

    L’Instant Messaging è uno strumento sempre più diffuso per dare supporto ai propri clienti da remoto ma è anche usato, spesso in modo spontaneo, come mezzo di comunicazione interna tra colleghi di una stessa azienda che hanno necessità di collaborare a distanza in modo semplice e veloce.

    Secondo statistiche ottenute da società specializzate, la produttività migliora di circa il 20-25% nelle organizzazioni che hanno i dipendenti collegati online con la possibilità immediata di poter "chattare" e condividere materiale tra loro.
    Nonostante questi benefici siano ben noti, in molti contesti imprenditoriale pubblici e privati ancora si ostacola l'utilizzo dei Social Software, pensando che i dipendenti possano perderci tempo in modo significativo pesando quindi negativamente sulla produttività. 

    Tuttavia l'utilizzo autorizzato degli strumenti applicativi Social è in forte crescita, spesso viene addirittura imposto dalle aziende ai propri collaboratori. Sicuramente in futuro la tendenza aumenterà considerando l'integrazione nei processi di lavoro di funzionalità Cloud sempre più evolute per la collaborazione online e la scambio di materiale su storage esterni condivisi.

    Altri Social Software

    Altre tipologie di Social Software più specifiche e meno diffuse sono:
    • Social Guides: canali per condividere posti da visitare, dove dormire, mangiare e divertirsi. Solitamente in ottica multicanale sono realizzate sia sotto forma di portali Web che di App.
    • Social Networks commerciali: canali Web e App realizzate per fidelizzare i clienti attorno ad un brand o ad un prodotto. 
    • Social Online Storage: archivi e strumenti che consentono la distribuzione P2P (peer-to-peer) di file molto grossi.
    • Social Bookmarking: strumenti per la condivisione di playlist, "segnalibri" o "preferiti" che possono essere poi fruite tramite Web o App. 
    • Virtual Worlds: applicazioni complesse che consentono di incontrarsi e interagire con altre persone in un ambiente virtuale (es. SecondLife).
    • Social Gaming: applicativi online che forniscono dei tavoli da gioco virtuali nei quali gli utenti reali possono giocare (es. Poker Online).

    L'evoluzione dei Social Software

    Per continuare a fornire un valore aggiunto alla produttività aziendale ed ambire ad avere la dignità di veri e propri sistemi riconosciuti, le applicazioni di Social Software dovranno evolvere tenendo conto di aspetti importanti.

    Integrazione
    Non dovranno essere elementi aggiuntivi a quello che già esiste ma essere parte fondamentale della struttura tecnologica. Gli strumenti Social più moderni dovranno essere integrati con quelli già consolidati su delle piattaforme uniche, che non diano evidenza di ciò che è vecchio e ciò che invece è nuovo. 

    Usabilità e Socialità
    Dovranno essere:
    • Più veloci, più intelligenti, più semplici e più usabili. La nuova tecnologia deve essere in grado di facilitare il lavoro rispetto al presente.
    • Multicanale (utilizzabili da PC, Tablet, Smartphone).
    • Realmente Social, includere quindi funzionalità per collaborazione, profili individuali e di gruppo, IM, community, chat, blog, wiki, ecc, avere quindi tutte le caratteristiche di un buon Social Network. 

    In caso contrario non verranno utilizzati e le persone continueranno ad usare altri social già consolidati. 

    Cambiamento
    Il loro utilizzo dovrà essere incluso nei processi aziendali, tale cambiamento va guidato dall'azienda con le giuste tecniche di Change Management.
    Questo cambiamento deve essere presentato in modo chiaro come un miglioramento all'organizzazione, non come un accessorio ad essa.
    Per avere successo, l'utilizzo di un Social Software deve essere sposato inizialmente dalle persone chiave in azienda e poi progressivamente riconosciuto da tutti come una opportunità di crescita.


    Image courtesy of sumetho at FreeDigitalPhotos.net

    Articoli correlati

    sabato 11 aprile 2015

    Una giornata senza Smartphone

    La mano che con un riflesso quasi compulsivo va a cercare nella tasca. L'impossibilità di poter fotografare per condividere su Facebook o Whatsapp. La mancanza di Shazam, con il rimpianto di non poter conoscere il titolo di una canzone ascoltata per caso al bar. Il dubbio fino all'ultimo minuto di essere andato ad un appuntamento a vuoto per non averne potuto leggere la conferma. Il timore di aver sbagliato luogo senza poterlo controllare con Google Maps. L'insicurezza data dal non poter verificare gli orari della palestra anche se ricordavo benissimo che il sabato fosse aperta 9-18. L'ansietta di non poter conoscere subito il risultato di una partita.

    Soprattutto il cambio improvviso di prospettiva: il mondo tornato ad essere quello che circonda e non quello virtuale contenuto nel dispositivo digitale.
    Una leggera sensazione di vuoto ma anche di un dejà vu continuo nel rivivere una situazione già provata tanto tempo fa, quella di essere scollegati dalla rete, di essere soli con il mondo attorno.

    Tutto ciò perché ieri sera ho dimenticato lo smartphone in un pub ed ha dovuto aspettare le 18 di oggi per poterlo recuperare.

    È l'approccio che cambia totalmente, l'abitudine di vivere il reale pensando al virtuale ha in questi anni preso il sopravvento. È difficile valutare quanto sia così, fino a quando non si ritorna offline per cause non volute.

    L'opportunità è stata quella di rifare parte dell'ambiente circostante, di tornare a percepire luoghi, persone e cose per quello che sono e non in relazione al mondo social.

    Contrariamente a quanto avevo letto sulla nomofobia e sulla dipendenza da internet, il recupero delle percezioni vere è stato facile, naturale. Il disagio è durato solo qualche ora.
    Nessun senso di solitudine o di smarrimento, anzi una bella impressione di libertà semi-dimenticata e quasi di avventura anche nel fare cose normalissime in un sabato di primavera.

    Chissà se sarà così anche per i nativi digitali, forse per molti di loro sarà più difficile.

    Comunque poi lo smartphone l'ho ripreso e famelicamente sono subito andato sui social a vedere cosa era successo: niente di importante.




    Articoli correlati



    domenica 29 marzo 2015

    Ma 'ndo vai se il Big Data non ce l'hai ?

    Stiamo vivendo gli anni del Big Data e del Cloud, in questo periodo storico qualsiasi soluzione informatica sembra non poterne fare a meno, soprattutto a livello commerciale e comunicativo però.

    Ormai ne parlano tutti, non si può realizzare ma soprattutto vendere o comprare un'architettura software che non abbia questi 2 aspetti ben evidenti.  Chi non lo fa è out.
    Una spruzzata qua e la di Big Data e Cloud ci sta sempre bene, serve per far vedere che si sta sulla cresta dell'onda, che si seguono le nuove tecnologie e le tendenze del mercato, poi chissenefrega se invece in quel caso non servono.

    Siamo arrivati al punto in cui per registrare 1000 records e farci qualche conteggio statistico sopra, si parla di Big Data ed Analitycs (ecco un'altra parola magica di questi anni), il tutto possibilmente in Cloud.

    Sono le mode del mondo IT, chi ci vive da sempre ha imparato a riconoscerle e anche a sfruttarle.

    Nel periodo a cavallo tra il vecchio ed il nuovo secolo si parlava solo di Data WareHouse, un qualsiasi database veniva descritto come DWH, non importava se ne avesse effettivamente le caratteristiche, l'importante era utilizzare questa locuzione difficile per enfatizzare il tutto.

    Poi a seguire sono arrivate l'EAI (Enterprise Application Architecture), la SOA (Service Oriented Architecture) e la BI (Business Intelligence) che, oltre a imporre realmente nuove tecnologie e metodologie strutturate, sono servite a riempire, troppo spesso anche a sproposito, presentazioni ed articoli per più di un decennio.

    Fa comodo a tutti dare enfasi a prodotti, soluzioni ed architetture utilizzando termini cool di ampio respiro, aiuta a vendere ma anche a comprare.

    Poi, come tutte le mode passano e di queste tecnologie diventa difficile anche parlarne quando invece servono effettivamente e devono essere utilizzate.
    Ci sarà sempre qualcuno che ti dirà "io di queste cose ne parlavo 10 anni fa" presupponendo quindi una tua scarsa visione innovativa, allora è sempre meglio proporre quello che gli interlocutori si aspettano e vogliono sentirsi dire, anche se le soluzioni non sono completamente appropriate al contesto.

    I veri professionisti ed amanti dell'Information Technology sanno riconoscere dopo pochi minuti chi parla con cognizione di causa e coloro che invece si riempiono la bocca con tematiche più grandi di loro per sentirsi adeguati. Quest'ultimi non bisogna mai contraddirli, basta guardarli e sorridere, in cuor loro sanno che tu sai.

    Image courtesy of photoexplorer at FreeDigitalPhotos.net






    mercoledì 18 marzo 2015

    Tira più un PDF che un carro di buoi

    Non può si fare a meno di notare quanto spazio venga dedicato al nude look femminile ed al gossip soft erotico nelle homepage dei più importanti quotidiani sportivi.
    Fermo restando che trovarsi di fronte una foto di Belen è sempre un piacere per tutti (o quasi) noi maschietti, la cosa che colpisce è la numerosità di questi spot/fotogallery/news e le modalità subdole con cui vengono proposti.

    Qualsiasi scusa, tirata per i capelli o spesso proprio inventata, è buona per fare un titolo invitante da collegare in qualche modo al mondo dello sport o ai suoi protagonisti e piazzare un culo perizomato e un paio di tette ben posizionate in prima pagina. 

    Sarei molto curioso di conoscere gli analytics di questi famosi portali, vorrei verificare il numero di accessi, i canali di acquisizione e le statistiche del comportamento dei visitatori per capire come si giustifica una proposta così invasiva rispetto alle notizie sportive.

    Una cosa è certa, una scelta editoriale di questo tipo, fatta da testate importanti differenti, non è casuale ed ha sicuramente un ritorno economico significativo.

    Probabilmente si punta sull'istinto del maschio italiano che, una volta entrato sul sito per leggere news della propria squadra del cuore, viene distratto dalla foto di una bella gnocca e sfogliando la fotogallery si dimentica anche per chi fa il tifo.

    Non credo che ci sia chi entra appositamente per quel motivo in Tuttosport, SportmediasetGazzetta o Corriere dello Sport ma, una volta elaborato l'input visivo, l'attrazione verso l'altro sesso supera ogni altro tipo di curiosità.
    Su questo aspetto fanno leva le strategie di web marketing di questi giornali, in pratica sono le stesse dei piccoli blog che inseriscono banner porno per recuperare qualche soldo.

    Così crescono i tempi di permanenza nel sito, i Pay per Click ed i Pay per Impression aumentano e di conseguenza anche le revenue.

    Nessuno scandalo, da vecchio bacchettone quale sono però devo dire che mi sembra evidente una caduta di stile.

    Pecunia non olet, mi domando però come facciano le grandi firme giornalistiche ad accettare che i loro articoli ed editoriali vadano a finire vicino ai selfie scattati in bagno da qualche WAGS (Wives And Girlfriends of Sportsmen).

    Si parla di sport, in fondo un argomento leggero, ma la tendenza sta estendendosi anche ai giornali generalisti.

    Le entrate economiche dovute alle vendite delle copie cartacee diminuiscono sempre di più, in qualche modo vanno compensate e si sa che da sempre........Tira più un P.D.F. che un carro di buoi.






    martedì 17 marzo 2015

    Il rapporto tra Innovazione e Guerra

    Prendo spunto da un articolo pubblicato su Forbes.com per fare delle considerazioni sul rapporto controverso tra l'innovazione e la guerra.
    Di seguito c'è la traduzione dell'articolo in italiano per una più facile lettura e condivisione, alla fine alcune riflessioni.

    Image courtesy of maniaroom at FreeDigitalPhotos.net


    Libera traduzione da 4 Innovation lessons from the history of Warfare di Greg Satell del 14/03/2015.

    4 Lezioni di innovazione dalla storia della guerra

    Cosa hanno in comune la bomba all'idrogeno, i missili balistici minuteman e le armi di precisione teleguidate ?  Hanno tutte dato un contributo fondamentale alla tecnologia che utilizziamo normalmente nella vita di tutti i giorni. È un fatto curioso che la moderna società civile sia alimentata dalla tecnologia della guerra.

    Ancora oggi, i fondi stanziati per la sicurezza nazionale continuano a svolgere un ruolo importante per l'evoluzione della tecnologia. Mentre i politici discutono di energia verde, la ricerca militare sta andando avanti a tutto gas. DARPA, l'agenzia che ha realizzato Internet, ha contribuito a inventare le automobili che si guidano da sole. La CIA anche ha un proprio fondo da investire.

    Molti credono che l'enorme impatto che i militari hanno sulla tecnologia sia una questione morale e potrebbero essere nel giusto. Tuttavia, tralasciando ciò, si può anche imparare molto sull'innovazione, studiando la storia della guerra. Nel suo libro, "War made new", Max Boot ci dà la possibilità di fare proprio questo, fornendo realmente grandi approfondimenti per chiunque sia interessato all'innovazione.

    1. Quando una nuova tecnologia appare per la prima volta, non abbiamo idea di cosa farci

    Tendiamo a pensare che la tecnologia sia determinante. Con il motore a vapore iniziò la prima rivoluzione industriale. Elettricità e motore a scoppio alimentarono il secondo periodo. Il personal computing ha portato word processor e fogli di calcolo, cambiando le modalità di lavoro negli uffici. La stampa 3D e le altre tecnologie associate stanno creando una nuova rivoluzione industriale.

    Ma una delle cose che rende l'innovazione così diabolicamente difficile è che quando si scopre una nuova tecnologia, nessuno è del tutto sicuro sul cosa farci, compreso l'inventore (e in alcuni casi soprattutto l'inventore). Quindi, ciò che spesso accade è che la nuova tecnologia sia inquadrata nel contesto di vecchi problemi o venga accantonata dopo un successo iniziale.

    Max Boot fornisce un esempio particolarmente calzante raccontando un evento accaduto durante una battaglia navale tra l'Austria e l'Italia nel 1866. Quando il combattimento era sostanzialmente in pareggio, una nave austriaca affondò l'ammiraglia italiana speronandola con una imbarcazione fatta di ferro. Successivamente per decenni si è pensato che lo speronamento con navi in ferro fosse la nuova "killer app" della guerra navale.

    C'è voluto un po' poi per capire che la strategia migliore fosse quella di costruire enormi navi da guerra con una potenza di fuoco devastante, cosa che non era possibile con le imbarcazioni di legno.
    Così come, nei combattimenti con fucili ed armi a ripetizione, ci sono voluti decenni per rendersi conto che le linee statiche di fucilieri favoriscono gli avversari che invece si schierano con formazioni di combattimento decentrate.


    2. Coloro che si muovono per secondi, lo fanno spesso nel modo migliore

    Ci hanno insegnato a scuola di come i tedeschi abbiamo utilizzato la "guerra lampo" con effetti devastanti durante le battaglie iniziali della seconda guerra mondiale. Tuttavia, è molto meno noto che la guerra con i carri armati è stata effettivamente inventata dagli inglesi, i quali però non si sono da subito impegnati per sfruttare la nuova tecnologia.

    La storia di quello che è successo parla chiaro. Winston Churchill, quando era primo ammiraglio durante la prima guerra mondiale, esortò la marina militare a costruire "carri rivestiti d'acciaio" sul telaio dei trattori  Però in battaglia, tali macchine mal progettate si ruppero e quindi vennero accantonate dagli affari militari britannici.

    I tedeschi invece, non avendo sperimentato insuccessi, videro grandi possibilità nel poter coordinare via radio le unità mobili di terra con l'aviazione. Ne è risultato un nuovo tipo di guerra che ha portato a successi incredibili all'inizio della guerra. Se non fosse per la capacità industriale senza precedenti degli Stati Uniti, gli alleati non li avrebbero mai raggiunti.

    I primi utilizzatori sono spesso considerati in vantaggio perché effettivamente hanno un vantaggio temporale. Tuttavia, il loro punto di vista sulla nuova tecnologia spesso può risultare distorta dalle prime inaffidabili versioni e dalla mancanza di tecnologie complementari.
    Coloro che si muovono per secondi invece, possono vedere nuove possibilità che non erano evidenti nei primi giorni.


    3. Demandare la decisione ai livelli più bassi

    Un altro vantaggio che la Germania aveva nella seconda guerra mondiale era la struttura di comando. Mentre quella degli alleati era fortemente centralizzata, l'autorità dell'esercito tedesco era molto più distribuita. Questo ha permesso loro di improvvisare maggiormente, sperimentando sul campo ed arrivando a fare un miglior uso delle nuove tecnologie.

    Gli strateghi spesso danno per scontato che, essendo meno coinvolti nella battaglia vera e propria, si sia più lucidi per trovare soluzioni migliori. Invece è chi opera sul campo che è in grado di vedere i problemi e valutare le opportunità che ai gradi più elevati rischiano di sfuggire.
    Come specificato sopra, una nuova tecnologia difficilmente funziona esattamente come è stata pensata, ma è chi sta in prima linea che troverà la giusta impostazione.

    Non è stato solo grazie ai carri armati ed agli aerei che i tedeschi fecero una guerra lampo così efficace, svolse un ruolo importante anche la radio installata su ogni loro carro armato. Ciò permise alle forze dell'asse di fare veloci aggiustamenti e reagire rapidamente agli eventi imprevisti.

    Oggi, nella maggior parte degli ambienti militari viene utilizzata la dottrina del "Commander's intent", in cui ai ranghi più bassi vengono assegnati obiettivi specifici e devono capire come raggiungerli da soli. Purtroppo nel mondo delle imprese non è una direttiva sempre seguita.


    4. La quantità ha la propria qualità

    Nonostante i vantaggi nella tecnologia, la pianificazione, la dottrina e la professionalità dei suoi soldati, i tedeschi hanno perso la guerra. Ma la ragione non è stato un fallimento nella strategia o nell'esecuzione, ma piuttosto una diversa tecnologia che è stato perfezionata nelle catene di montaggio degli Stati Uniti.

    Quando pensiamo agli eroi della seconda guerra mondiale, vengono in mente i grandi generali come Eisenhower e Patton, ma Henry Ford non fu meno importante. Max Boot osserva che già nel 1942 l'America produceva di più di tutti i suoi nemici insieme. Questo si è rivelato un vantaggio decisivo che ha determinato l'esito della guerra.

    Come fanno notare Bob Sutton e Huggy Rao nel loro libro, "Scaling Up Eccellence", molte aziende giovani e promettenti che si concentrano nella ricerca della "next big thing", spesso falliscono perché non riescono a scalare sufficientemente. Invece, altri operatori efficienti spesso riescono a capitalizzare innovazioni sviluppate da altri. Un prodotto può essere venduto solo se si riesce a portarlo sul mercato.

    Ad esempio, questo aspetto è stato fondamentale per il successo della Apple in Tim Cook. La società arriva raramente prima sul mercato proponendo delle nuove funzionalità, ma la sua capacità di sviluppare e spedire i nuovi prodotti su larga scala è senza pari nel suo settore di mercato e probabilmente in qualsiasi altro.


    Cincinnato rinato

    Molti penserebbero ad un atto d'accusa verso la società moderna che dedica tanto impegno e risorse alla guerra. Spendiamo di più per lo sviluppo di metodi efficaci per ucciderci a vicenda che per capire come guarire i malati, nutrire gli affamati o qualsiasi altra cosa. Mentre abbiamo tagliato i budget per un vaccino contro l'Ebola, gli enormi costi del programma "Joint Strike Fighter" vengono superati senza ostacoli.

    Ma questa visione non è corretta. Sin dai tempi antichi la guerra è stata parte integrante nella costruzione di una società di successo. Il fatto è semplicemente che l'umanità nel nostro tempo è diventata meno violenta. Anche la povertà e la malattia sono significativamente diminuite. Noi ora stiamo per tanti aspetti meglio di quanto fossimo mai stati.

    Gran parte del motivo è che, proprio come il grande condottiero romano Cincinnato, siamo stati in grado di trasformare la vittoria in battaglia in prosperità in pace. Le decisioni prese quando la vita e la morte sono in bilico possono avere una lucidità che in altri casi non si ha. Almeno in questo senso, la guerra può essere istruttiva.

    Tuttavia è deplorevole che riusciamo così avidamente a raccogliere ingenti risorse per costruire una tecnologia più efficiente per uccidere e distruggere, ma invece non riusciamo così facilmente a finanziare in modo adeguato i programmi di pace. 
    Forse la lezione più importante che possiamo imparare dalle guerre del passato è che dovremmo combattere meno di loro.

    Articolo su Forbes di Greg Satell, consulente aziendale statunitense. 

    Image courtesy of Stuart Miles at FreeDigitalPhotos.net

    Considerazioni

    In questi casi si rischia di cadere nelle ovvietà, esprimendo con frasi fatte dei valori incontestabili ed universali per tutti (o quasi) tipo "Viva la Pace e abbasso la Guerra", "il Bene vince sul male", "non è possibile spendere i soldi per le armi e far morire di fame i bambini", "non è la tecnologia ad essere cattiva ma l'uomo", ecc.
    Non voglio discutere delle implicazioni morali, quindi mi soffermo solo sul rapporto che c'è tra tecnologia e guerra.

    Nell'articolo vengono messi in evidenza solo casi in cui è stata inventata una tecnologia per usi militari. Ma accade anche il contrario.

    Quante volte sono stati utilizzati normalissimi telefonini come inneschi per le bombe, quante volte la propaganda di guerra viene diffusa sui canali di telecomunicazione civili ?
    Quante volte viene usata la rete cellulare per la localizzazione di obiettivi militari ?
    Quanti aerei sono stati dirottati per motivi di guerra dichiarata o terrorismo ?
    Quante autobombe ci sono state ? e non credo che le auto siano state inventate per fare la guerra.

    Nonostante sia assolutamente vero che la guerra da spesso un impulso alla ricerca, è anche incontestabile che l'evoluzione dei prodotti che stanno sul normale mercato va ad una velocità doppia rispetto a quelli militari.
    A parte pochi eserciti, in tempo di pace le tecnologie usate dai militari sono sempre un passo indietro rispetto a quelle "ultimo grido" sul mercato.

    Non credo quindi che senza guerre l'evoluzione tecnologica avrebbe rallentato molto, le soluzioni sarebbero comunque arrivate nel breve periodo perché sono il mercato e l'economia che muovono tutto, guerre comprese.

    L'uomo da sempre costruisce ed utilizza strumenti per i propri scopi e lo fa nel momento in cui ne ha bisogno. Se serve li pensa, li realizza e li usa.
    La tecnologia, ora digitale, in passato di altro tipo, non è altro che la via per crearli questi strumenti, indipendentemente se il contesto sia di guerra o di pace.

    L'innovazione non è mai fine a se stessa, si innova veramente solo se il frutto di tale attività cambia in qualche modo le cose, possibilmente in meglio.

    La famosa frase di Henry Ford "C'è vero progresso solo quando i vantaggi della nuova tecnologia diventano per tutti" presuppone il rischio, anzi la certezza, che tra quei tutti ci sia chi la userà e la farà evolvere per scopi differenti rispetto a quelli originariamente previsti.



    Articoli correlati
    Innovazione e Cambiamento
    Tra Business e Software